In questa sezione sono raccolte alcune delle principali evidenze che ci inducono a reclamare pubblicamente verità e giustizia. In 31 anni tantissimi sono stati i cittadini che si sono uniti ai familiari delle vittime per questo scopo e ciò significa quanto meno che la ricostruzione di questo disastro, offerta nel corso del tempo dalla magistratura, è quantomeno parziale. Lo si deve anche al fatto che la più grande strage della marina civile italiana dal dopoguerra e la più grande strage sul lavoro della storia repubblicana è stata affrontata con un percorso giudiziario segnato da incredibili errori.

Un percorso di Giustizia operato, sino al 2015, quasi esclusivamente dalla piccola Procura di Livorno in cui è possibile riscontrare oggettivamente un elenco troppo lungo di mancanze ed omissioni, così come rilevato persino dai Giudici dalla Terza Sezione della Corte di Appello del Tribunale di Firenze, interessati dal procedimento di appello sul filone principale della vicenda.

Scrivono i Giudici fiorentini che il collegio giudicante del primo processo Moby Prince, architrave di ogni altro procedimento, ha tenuto conto di testimonianze “palesemente false”, negato testimonianze palesemente vere, e persino presentato una deduzione “apodittica” – cioè dogmatica senza alcuna prova a supporto – su un video amatoriale che confutava le tesi poi finite in sentenza circa l’orientamento della petroliera al momento della collisione.

Un percorso giudiziario che ha visto, a titolo esemplificativo:

  1. Il relitto del traghetto – corpo di reato – è stato oggetto di documentate sottrazioni di materiale probatorio (es. registro delle eliche Kamewa) e manomissioni una delle quali ha portato ad un procedimento parallelo dove fu accertato che due uomini della compagnia armatrice operarono una manomissione della leva change over level del timone del traghetto in modo da far sembrare che prima della collisione fosse in funzione il pilota automatico e così scaricare sul Comando della nave la causa della tragedia; tutto ciò accadeva in data 12 aprile 1991, quindi, si noti, un giorno e mezzo dopo la collisione, quando si iniziavano a recuperare le prime salme;
  2. Nonostante fossimo in presenza di un superstite recuperato un’ora e venticinque minuti dopo la collisione e di numerosi documenti atti a smentire la tesi della morte rapida di tutte le vittime del Moby Prince, il collegio giudicante sancì tempi di sopravvivenza di 30 minuti al massimo. Vale la pena annotare che la tesi della morte rapida sancì di fatto l’assoluzione di tutti gli imputati legati alla Capitaneria di Porto di Livorno, responsabili degli interventi di soccorso posti in essere, nonché, per tramite, l’archiviazione della posizione dell’allora Comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Ammiraglio Sergio Albanese, che quella notte prese il comando dalle 23:00 e quindi esattamente cinque minuti dopo che la sentenza dichiara conclusa la sopravvivenza a bordo del traghetto;
  3. Il Presidente del Collegio Giudicante del Primo Processo Moby Prince, nonché allora Capo dei G.I.P. della Procura di Livorno, Dott. Germano Lamberti, è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione (sentenza del 18 novembre 2013) a quattro anni e nove mesi di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici, per corruzione in atti giudiziari in merito ad una vicenda di abusi edilizi operati nell’Isola d’Elba avvenuta poco tempo dopo la stesura della sentenza del Processo Moby Prince, il cui profilo è senza dubbio ampiamente minore rispetto alla nostra ove gli attori dello stesso erano una compagnia di navigazione avviata come la Nav. ar.ma s.p.a., una delle principali aziende pubbliche italiane la SNAM s.p.a. e infine la Capitaneria di Porto di Livorno.

Come sopra citato l’elenco avrebbe potuto essere molto più lungo, ma ci preme evidenziare unicamente il senso del ragionamento: riteniamo di essere in presenza di una mole di documentazione che oggettivamente imponga, prima che sul piano emotivo su quello razionale, la convinzione quantomeno di un ragionevole dubbio circa quanto è stato finora raccontato ai familiari delle Vittime e, in conseguenza, circa l’effettivo esercizio della giustizia cui, da cittadini, si sono appellati.

Sono sette i punti che hanno convinto la Procura della Repubblica di Livorno a scrivere nel 2010 la richiesta di archiviazione perché nulla più era da accertare. Per rendere più agevole ed immediata la lettura si esprimono sinteticamente i sette punti riassumendo così le conclusioni a cui giunge la Procura di Livorno nel 2010:

  1. Luogo della collisione: la collisione è avvenuta con la petroliera regolarmente ancorata in rada dopo che il Comando del traghetto aveva impostato rotta e velocità di crociera per Olbia fin dall’uscita del porto.
  2. Modalità di navigazione del traghetto Moby Prince: il Comando del Moby Prince era particolarmente disattento ed aveva assunto il rischio di navigazione (portellone prodiero aperto e impianto antincendio disattivato) che rendeva la situazione una sorta di incidente in attesa di verificarsi.
  3. Presenza di nebbia: un repentino fenomeno atmosferico in corrispondenza del tratto di mare immediatamente di fronte al traghetto sorprendeva il Comando del traghetto.
  4. Accensione dei fari di manovra: il Comando del traghetto sorpreso dal banco di nebbia di cui al punto 3 incautamente accendeva i fari auto-accecandosi e non vedendo più il tratto di mare antistante il traghetto in navigazione.
  5. Dinamica della collisione: l’urto è avvenuto tra il traghetto che percorreva la rotta per Olbia a velocità di crociera e la petroliera con la prua orientata verso nord.
  6. Sviluppo dell’incendio: il traghetto collidendo con la petroliera ne ha squarciato una cisterna ed è stato immediatamente invaso da un grande quantitativo di petrolio greggio incendiato.
  7. Modalità di propagazione dell’incendio: la propagazione del fuoco è stata repentina ed incontrollabile, limitando i tempi di sopravvivenza a bordo del traghetto ad un tempo massimo di 20/30 minuti.

In questa sezione abbiamo raccolto ed analizzato alcune delle evidenze tecniche che smentiscono punto per punto quanto sopra riassunto.

IL PUNTO DELLA COLLISIONE

Nel 2009 la Procura affida una consulenza tecnica agli Ammiragli ing. Giuliano Rosati e dott. Giuseppe Borsa (depositata il 17 giugno 2009). In questa relazione tecnica sono riportati su di un elaborato cartografico disegnato a mano dai Consulenti alcuni punti delle presunte posizioni di ancoraggio (14 punti) della petroliera Agip Abruzzo emersi negli anni e solo citati in diversi passaggi delle inchieste e dei processi. Non sono prese invece in considerazione le posizioni indicate dalla Sentenza di primo grado del Tribunale di Livorno e quella indicata dalla Corte di Appello del Tribunale di Firenze che clamorosamente nessuno rileva essere entrambe all’interno dell’area di divieto di ancoraggio e pesca presente al di fuori del porto di Livorno. Di contro la proiezione sulla carta dei diversi punti selezionati ha permesso ai Consulenti di definire un rettangolo di 600x300m che li racchiude e di indicare il baricentro di questo rettangolo come il “probabile” punto di ancoraggio della M/C Agip Abruzzo al momento della collisione appena fuori dell’area tratteggiata di divieto di ancoraggio e pesca. Posizionare il punto della collisione all’esterno dell’area di divieto di ancoraggio consente così di affermare, nel 2009, che ci fu la sola responsabilità del Comando del traghetto passeggeri nella collisione con la petroliera regolarmente ancorata in rada. Ma la posizione di fonda dell’Agip Abruzzo la mattina successiva – presumibilmente la posizione della collisione come sempre condiviso da tutti – è univoca e confermata da tutti i dati oggettivi a disposizione e si trova senza dubbio all’interno dell’area di divieto di ancoraggio, esattamente come individuato nella sentenza di primo grado che evidenziava una notizia di reato già nel 1997 senza che fosse preso alcun provvedimento successivo. Quanto affermato può essere verificato attraverso semplici allineamenti e triangolazioni di fotografie e video che individuano precisamente la posizione della M/C Agip Abruzzo in rada la mattina successiva alla collisione all’interno dell’area di divieto di ancoraggio e pesca. Riconoscere la posizione della collisione all’interno dell’area di divieto di ancoraggio determina che la petroliera non fosse dove si è da subito dichiarato, ovvero regolarmente ancorata in area consentita, ed introduce una prima modifica delle condizioni di navigazione del traghetto, non più sulla direttrice di rotta per Olbia. Due sentenze quindi accertano che la posizione in cui avviene la collisione è all’interno della zona di divieto di ancoraggio e pesca, ma di questa clamorosa evidenza non si fa cenno alcuno nemmeno nelle più recenti indagini del 2009 elidendo così le eventuali responsabilità del Comando della petroliera Agip Abruzzo nonché della Capitaneria di Porto di Livorno. L’immagine evidenzia la posizione dell’Agip Abruzzo indicata nella sentenza di primo grado (43° 29′.8 N 10° 15′.3 E).

Evidenziato dalle linee rosse il punto di fonda dell’Agip Abruzzo, così come riportato sulla sentenza di primo grado
E’ importante avere chiari alcuni punti fermi:
nonostante quanto dichiarato da alcuni testimoni, la mattina dell’11 aprile l’Agip Abruzzo era in una posizione interna alla zona di divieto ancoraggio e pesca e con prua rivolta verso sud (vedi immagine 2: l’immagine è stata scattata all’alba dell’11 aprile 1991 mentre il Moby Prince veniva rimorchiato verso il porto. Il punto di scatto è quindi da mare verso terra, quasi in linea con la levata del sole. Come si nota la sagoma dell’Agip Abruzzo ha il castello di poppa sul lato sinistro quindi il fianco destro è verso la fotocamera ovvero la prua ha orientamento verso sud-ovest);

Immagine scattata la mattina dell’11 aprile da mare verso terra (il rimorchiatore sta trainando il Moby Prince in porto), si nota la prua dell’Agip Abruzzo rivolta a sud
non esistono agli atti immagini fotografiche o video che ritraggano esattamente il momento della collisione e quindi che rendano possibile estrapolare con precisione il punto di ancoraggio dell’Agip Abruzzo e l’orientamento di quest’ultima;
gli unici documenti dove potrebbe essere estrapolata quantomeno la prima fondamentale informazione sono i tracciati radar dei natanti legati direttamente o indirettamente alla U.S. Army e/o le immagini satellitari a disposizione di autorità militari italiane o straniere (di cui si ipotizza l’esistenza) e/o qualsiasi altra documentazione fotografica o video ad oggi inedita;
esiste un documento video (chiamato “video D’Alesio” per via del suo autore: Francesco D’Alesio figlio dell’armatore Nello) realizzato a circa 5 minuti dalla collisione: in relazione a quanto mostra il video la sentenza di appello dichiara che quanto si vede è il profilo della petroliera che pertanto avrebbe prua verso sud-ovest mentre la richiesta di archiviazione del 5 maggio 2010 non valuta in alcun modo il filmato quale riferimento sul tema “orientamento dell’Agip Abruzzo”.
è lo stesso comandante dell’Agip Abruzzo Renato Superina, nei momenti successivi alla collisione, a riferire che la prua è orientata verso sud: di seguito la registrazione.

Le modalità di navigazione del traghetto Moby Prince

Facciamo cenno alla cronistoria giudiziaria evidenziando alcune falle della ricostruzione proposta dalla Procura di Livorno nella “Richiesta di archiviazione”  del 5 maggio 2010; archiviazione relativa al procedimento n°9726/06 avviato nel 2006 e noto come “Inchiesta-bis Moby Prince”.
Ci si richiama a questo documento poiché è con esso che la Procura di Livorno (unico organo finora competente per l’accertamento dei fatti) ha, al momento, chiuso ogni ulteriore accertamento sulla vicenda, come esplicitato nel capitolo “Conclusioni”: “nessuna delle ipotesi alternative vagliate è in grado di assumere una qualche parvenza di idoneità concausale né di credibilità” (p.150).
In merito all’argomento di questo approfondimento, le modalità di navigazione del traghetto, la Richiesta di archiviazione afferma che il Moby Prince viaggiasse con:
il portellone prodiero di seconda difesa – prescritto dalla normativa MARPOL 73-78 – ANNEX 1 – aperto
l’impianto sprinkler (antincendio) non funzionante, in quanto disabilitato
(Richiesta di archiviazione p.140);
Sul punto sono due i fatti che contraddicono quanto scritto dalla Procura della Repubblica:

la citata normativa MARPOL è una convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (MARitime POLlution) ed è un accordo internazionale per prevenire l’inquinamento del mare. E’ nata con lo scopo di ridurre al minimo l’inquinamento del mare derivante dai rifiuti marittimi, idrocarburi e gas di scarico. Il suo obiettivo è quello di preservare l’ambiente marino attraverso la completa eliminazione dell’inquinamento da idrocarburi e da altre sostanze nocive e la riduzione al minimo dello sversamento accidentale di tali sostanze. Non riguarda la prescrizione di portelloni di seconda difesa presenti a bordo di traghetti passeggeri. Nel 1991 non erano in vigore altre specifiche normative riguardo i sistemi di sicurezza in tema di navigazione che possano essere state fraintese nella stesura del documento da parte della Procura della Repubblica di Livorno, conformemente alla Classe di navigazione del traghetto Moby Prince;

l’impianto sprinkler antincendio era di tipo “a secco” per ragioni di sicurezza, ovvero le tubolature non contenevano acqua per evitare sia la formazione di ghiaccio nei tratti esterni durante le navigazioni invernali che per evitare il problema a cui accenna la Procura nella richiesta di archiviazione: la possibilità che eventuali perdite potessero rovinare gli interni del traghetto. L’esatto assetto con cui si presentò il sistema antincendio della Moby Prince al momento della collisione e soprattutto le modalità di funzionamento durante l’incendio a bordo non sono mai state oggetto di un’analisi approfondita e dirimente, tesa anche nell’eventualità a verificare i profili di responsabilità armatoriale sulla vicenda.

LA NEBBIA DI AVVEZIONE

L’accensione del cappelloni prodieri

Scrive a tal proposito la Procura di Livorno:
“la plancia del Moby Prince, presa alla sprovvista e con la nave ormai lanciata alla velocità di crociera, provvedeva incautamente ad accendere i fari collocati a prua della nave – c.d. cercanaufraghi – (prima spenti: v. dichiarazione del pilota Muzio sopra richiamate, e che aveva poco prima incrociato il Moby Prince conducendo una nave all’interno del porto) nella speranza di migliorare la visibilità sullo specchio di mare davanti a sé, ma in realtà peggiorando le condizioni di visibilità” (Richiesta di archiviazione, p. 140)
L’accensione dei fari d’illuminazione del ponte di manovra (erroneamente indicati come cercanaufraghi) come segno di disattenzione alla navigazione da parte della plancia di Comando del Moby Prince “nella speranza di migliorare la visibilità sullo specchio di mare davanti a sé, ma in realtà peggiorando le condizioni di visibilità” è una mistificazione della realtà.
Nessun diportista in navigazione notturna in qualsiasi condizione di visibilità proverebbe ad accendere i fari di manovra senza una pressante necessità. Il fatto che i fari effettivamente accesi dalla plancia di Comando del Moby Prince illuminassero il punto del ponte di manovra squarciato da una accertata esplosione nel locale eliche di prua è stato considerato un caso privo di alcun significato.
Riassumiamo per fare chiarezza: secondo la testimonianza di Valentino Rolla* il Moby Prince arrivò addosso alla petroliera con due “fari” accesi.
Nel corso del Processo Moby Prince, questi “fari” furono identificati dai Consulenti Tecnici del Pubblico Ministero  quali i “cappelloni prodieri con cui si illumina la prua durante le operazioni di manovra“.

Indicazione del faro sinistro sul Moby Prince quando ancora si chiamava Koninging Juliana
Per meglio comprendere di che cosa stiamo parlando, segnaliamo che questi “cappelloni” in dotazione del traghetto erano due fari alogeni (simili a quelli riportati in figura) posti sotto la plancia che venivano accesi per favorire le operazioni sui cavi d’ormeggio durante le ore notturne.

Evidenziate in rosso le due staffe di sostegno dei fari che illuminavano l’area di manovra
I fari non furono trovati sul relitto, dove si rilevarono però le due staffe di sostegno di detti fari, e fu possibile ricostruirne la presenza sia sulla scheda tecnica del Moby Prince sia tramite la testimonianza del nostromo non a bordo quella notte, Ciro Di Lauro, che indicò la direzione di questi dall’alto verso il basso.

Tipologia di faro alogeno simile a quelli montati sulla Moby Prince
Nella Richiesta di archiviazione della Procura di Livorno questi fari diventano “cerca naufraghi“, sollecitando l’immaginario nell’idea di qualcosa che illumini lo spazio di mare frontale al traghetto, perché i naufraghi sono persone cadute a mare e quindi non da cercarsi sul ponte di manovra.
Accettando questa ipotesi erronea, che probabilmente la Procura di Livorno recupera da un’altrettanto errata relazione tecnica d’ufficio, il racconto di ri-costruzione assume il senso richiesto: i fari, accesi per vedere meglio fuori oltre la prua a causa della nebbia, in realtà “peggiorano la visibilità” provocando così una condizione di auto-accecamento.
Deve essere ben chiaro quindi:
cosa fossero nei fatti i fari che il teste Valentino Rolla dichiara di aver visto;
l’impossibilità che questi svolgessero la funzione teorizzata, ovvero l’illuminazione del tratto di mare antistante il traghetto, poiché la gettata di detti fari posizionati sopra la plancia era dall’alto verso il basso e quindi il campo illuminato era principalmente la prua del traghetto e solo in minima parte, a margine, quanto gli era direttamente attiguo;
l’insostenibilità della tesi secondo cui, in una situazione meteorologica come quella teorizzata, la plancia potrebbe aver volontariamente acceso i fari prodieri nell’intento di “migliorare la visibilità ai fini della navigazione” poiché detti fari da una parte non illuminavano frontalmente lo specchio di mare antistante (quindi cade la premessa principale) e dall’altra, in caso di scarsa visibilità data da nebbia o affini, non avrebbero in alcun modo favorito un miglioramento della navigazione a vista poiché illuminando la nebbia – come tutti sanno e la stessa Procura di Livorno annota – si produce un effetto riflettente della luce emessa.
Risulta appurato quindi che quanto è indicato nella Richiesta di archiviazione circa i “cappelloni prodieri” produce un racconto inverosimile, perché se una volta compreso l’errore deduttivo sulla variabile centrale – la gettata dei fari alogeni – si corregge questo secondo le evidenze tecniche reali, si arriva a rendere paradossale la descrizione:
Fase A. Scarsa visibilità per nebbia -> Fase B. Per vederci meglio accendo dei fari che in realtà illuminano solo la prua -> Fase C. Mi auto-acceco senza motivo.
In conseguenza è possibile riscontrare una situazione che rende comprensibile la testimonianza di Valentino Rolla e quindi l’accensione dei fari alogeni del traghetto prima della collisione?
Se infatti si accetta l’idea che la testimonianza di Rolla sia veritiera, desta attenzione lo squarcio presente sul ponte di manovra del traghetto in corrispondenza verticale con il locale eliche di prua dove fu accertato da tutti i consulenti tecnici che avvenne un’esplosione.
La domanda immediatamente centrale allora fu “l’esplosione avvenne prima o dopo la collisione?” e, in associazione ai riscontri del primo consulente tecnico nominato dal pubblico ministero Luigi De Franco, “l’esplosione fu una detonazione da esplosivo o una deflagrazione da gas?”.
Ad oggi gli accertamenti tecnici svolti hanno determinato il seguente verdetto: l’esplosione, che avvenne solo in quel locale, fu da gas ovvero i vapori dell’iranian light ed i prodotti della combustione entrati nel locale confinato dalle condotte di ventilazione ed è da collocarsi in un momento successivo alla collisione.
Restano, a proposito di questo racconto conclusivo, alcuni dubbi: perché l’esplosione sia avvenuta solo in quel locale e soprattutto perché non fu fatta una verifica tecnica nel 2009 circa la congruità dell’energia esercitata dall’esplosione rilevabile dalle deformazioni e dai danni provocati con quella presente nella miscela di gas in ipotesi disponibile.  E’ stato spiegato che di deflagrazione da gas si doveva parlare, senza chiarire se l’iranian light o l’incendio potesse in qualche misura generare gas compatibili con tale scenario deflagrativo.

Lo squarcio apertosi sul ponte comando (fronte plancia) dopo l’esplosione avvenuta nei locali eliche di prua
* Terzo ufficiale di coperta dell’Agip Abruzzo, agli atti, di guardia in plancia al momento della collisione. Per approfondire: una sintesi delle sue deposizioni la trovi qui.

La dinamica della collisione

Come sempre in questo percorso citeremo testualmente le conclusioni a cui giunge la Procura della Repubblica di Livorno nella Richiesta di archiviazione a chiusura dell’inchiesta -bis Moby Prince.
A riguardo del tema scrive la Procura di Livorno:
l’urto con l’Agip Abruzzo, ferma all’ancora con prua orientata su 300° circa (v. da ultimo sul punto la relazione di consulenza tecnica del P.M. dell’ing. Rosati e dott. Borsa depositata il 17 giugno 2009 che riassume il complesso degli elementi che consentono con certezza tale ricostruzione dell’orientamento della nave) avveniva poco dopo interessando la fiancata di destra con un angolo calcolato di circa 71° prora – poppa (109° prora – prora), navigando il Moby Prince con direzione di circa 191° ad una velocità di circa 18 nodi. Come è stato spiegato dal C.T. ing. Gennaro, la collisione ha avuto caratteristiche fondamentalmente anelastiche, “nel senso che tutta l’energia cinetica disponibile da parte del M.P. al momento della collisione con l’Agip Abruzzo si è tramutata in lavoro di lacerazione, deformazione, riscaldamento, rumore e scintille” (pag.140);
Sembrerebbe che gli Ammiragli Rosati e Borsa indichino con certezza la posizione della prua dell’Agip Abruzzo orientata per 300°, l’unica che consente di ricostruire la dinamica della collisione con il traghetto sulla sua rotta e la petroliera ferma regolarmente all’ancora. Tuttavia, nella relazione stessa i CTU asseriscono che il vento proveniva però da Sud, complicando l’oggettività della prima deduzione perché è un fatto fisico che i natanti all’ancora di prua rivolgono la parte prodiera contro vento e quindi se l’Agip Abruzzo avesse avuto la prua a Sud, il traghetto, per collidere con il lato destro della petroliera, avrebbe dovuto invertire la sua rotta (con direzione verso Livorno) per un avvenimento interno o esterno. Gli elementi oggettivi disponibili tra cui la direzione del vento, del fumo, della corrente, immagini video, testimonianze, dichiarazioni dello stesso comandante Superina dell’Agip Abruzzo ed elementari considerazioni di fisica dell’atmosfera, indicano concordemente che la direzione del vento fosse da sud verso nord e di conseguenza l’orientamento della petroliera al momento della collisione parrebbe essere con la prua rivolta verso sud (o i quadranti meridionali).”
Di seguito la registrazione della comunicazione radio dove lo stesso comandante Superina comunica la posizione ai soccorritori:

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L’orientamento della prua dell’Agip Abruzzo al momento della collisione è un fatto determinante per comprendere quale sia stata la dinamica della collisione, infatti ogni deduzione sull’orientamento fa assumere un senso piuttosto che un altro.

Immagine scattata la mattina dell’11 aprile da mare verso terra (il rimorchiatore sta trainando il Moby Prince in porto), si nota la prua dell’Agip Abruzzo rivolta a sud.

LO SVILUPPO DELL’INCENDIO

Come sempre, riportiamo per prime a tal riguardo le parole della Procura di Livorno contenute nella Richiesta di archiviazione dell’inchiesta-bis Moby Prince 2010:
pressoché immediatamente si incendiava il greggio della cisterna 7 di destra della petroliera, dentro la quale era penetrata la prua del Moby Prince. Infatti la penetrazione della prua del Moby Prince nella cisterna sollevava dinamicamente il livello del carico (5,71 mt sul livello del mare: v. rel. Gennaro) e conseguentemente parte del carico si riversava sulla parte prodiera del ponte di coperta (ponte prodiero di manovra) elevato di circa 7,8 mt sulla superficie del mare, incendiandosi (pag 140)
Nessuna verifica diretta a bordo dell’Agip Abruzzo è stata fatta sulle quantità e qualità del carico presente al momento della collisione.
La sola affermazione riportata nelle conclusioni circa le quote non ha suggerito ai Procuratori di Livorno la necessità di approfondire come sia stato possibile che il traghetto venisse colpito da un’ondata di greggio incendiato nonostante la presenza di una differenza di quote di oltre 2 metri. Sul punto esistono documenti raccolti nel 2013 che imporrebbero ulteriori considerazioni circa la quantità e la qualità del carico della petroliera, questione che riteniamo debba essere investigata nelle sedi opportune di una Commissione d’Inchiesta Parlamentare.
Gli elementi centrali di critica presentati nel Report tecnico sul tema “sviluppo dell’incendio” sono quindi due:
L’assenza di verifiche dirette ed immediate relative alla quantità e qualità del carico contenuto nella cisterna n° 7 speronata dal Moby Prince;
La differenza di altezza tra il livello del carico di combustibile nella cisterna colpita e la prua del Moby Prince, in relazione alle modalità di propagzione dell’incendio a bordo del traghetto.
Sul primo punto è importante precisare un dato storico incontestabile: nessun Consulente Tecnico d’Ufficio è mai stato autorizzato a salire sull’Agip Abruzzo per verificare quantità e qualità del carico presente, con particolare riguardo per i residui presenti nella cisterne n° 6 centrale e n° 7 destra.
Benché a poche settimane dall’incidente il Tribunale di Livorno avesse nominato un CTU con il preciso compito di effettuare questa operazione – ovvero identificare mediante rilievi diretti quantità, tipologia e condizioni del carico contenuto nella cisterna n° 7 e nelle restanti cisterne dell’Agip Abruzzo – al CTU fu interdetto l’accesso alla petroliera per atto esplicito firmato dal Comandante della Capitaneria di Porto, Sergio Albanese.
Ufficialmente Albanese sancì l’interdizione per “motivi di sicurezza”, aggiungendo un particolare curioso, ovvero che l’operazione di verifica (Accertamento Tecnico Preventivo disposto dal Tribunale di Livorno) poteva essere esperito una volta terminato l’allibo con l’Agip Piemonte e quindi una volta che il carico stesso fosse stato trasferito completamente su questa altra petroliera.
Come evidenziato in forma scritta dallo stesso CTU, tale operazione era difforme ed elusiva rispetto al chiaro e preciso quesito posto, e dunque priva del valore di riscontro necessario.
Riassumendo è importante aver chiaro che ad oggi l’informazione riguardo a quantità e qualità del carico presente nella cisterna n° 7 come sulle altre cisterne dell’Agip Abruzzo deriva unicamente dai documenti prodotti da SNAM s.p.a. nel corso delle indagini preliminari.
SNAM s.p.a. dichiarò allora che la cisterna n° 7 conteneva crude oil nella qualità “iranian light” – ovvero petrolio da raffinare – in un quantitativo pari a “circa 2600 tonnellate” (cit. da Relazione Inchiesta formale contenuta nella Sentenza di primo grado, p. 519). SNAM s.p.a. dichiarò che tale combustibile era stato caricato nel porto egiziano di Sidi Kerir ed era destinato all’impianto di raffinazione di Stagno con operazione di scarico in darsena previsto per l’11 aprile 1991.
Sul secondo punto, ovvero la questione dei livelli, è probabilmente utile visionare la seguente rappresentazione di quanto scrive il Consulente della Procura di Livorno nel 2009.

Differenza di altezza tra livello supposto del carico e squarcio all’altezza del ponte di manovra prodiero.
La prua del Moby Prince penetrò nella cisterna n°7 della petroliera fino a fermarsi su una paratia trasversale interna. Come si osserva nell’immagine, il lato lungo dello squarcio prodotto dalla parte mobile dalla prua della Moby Prince è a circa 7,8 metri dal livello del mare, mentre il livello del carico che SNAM s.p.a. dichiara presente nella cisterna n°7 era a circa 5,7 metri.
Dimostrare che tale insieme di dati presentati prefiguri lo scenario di un ingente sversamento di Iranian Light sul ponte di manovra prodiero presenta qualche complessità.
Ascoltando quanto riportato nella Sentenza di primo grado il Moby Prince, nell’inserirsi dentro la cisterna, “ha fatto una azione da pistone […] comprimendo quindi il liquido sottostante al percorso della prua e spingendo verso l’alto il liquido sovrastante agevolando in questo fenomeno di nebulizzazione  […] favorita anche dalla inertizzazione mediante CO2 delle cisterne […]. Soggetto a queste forze il Crude-Oil, attraverso le aperture createsi in corrispondenza delle lamiere contorte, ha iniziato a riversarsi sullo specchio d’acqua limitrofo con una azione preponderante di adesione alle murate laterali delle due navi con particolare intensità sul lato sinistro del traghetto. Contestualmente il crude-oil, in forma liquida e nebulizzata, sospinto verso l’alto dalla penetrazione della prua del traghetto, si riversava sul ponte di coperta del Moby Prince, formando una nuvola di vapori (contenenti butano, propano, ecc … ) che si miscelavano con l’aria in percentuali comprese nei limiti d’infiammabilità“. (p. 552)
Dopo questa prima fase (definito “Periodo A” dai Periti del Tribunale e quantificata in 5-6 secondi al massimo) si sarebbe verificato il cosiddetto “Fire-Ball” ovvero la “palla di fuoco” che investì la coperta di prora del traghetto. “Avutosi il Fire-Ball, fenomeno di brevissima durata (1 – 2 secondi), tutta la prora e la murata di sinistra venivano sollecitate termicamente a valori elevatissimi ma di durata breve, con fenomeni di “bruciatura” delle lamiere. Subito dopo il fire ball, i vapori nebulizzati dell’Iranian – Light non partecipanti al fenomeno ora descritto e tutto il rimanente liquido sospinto verso l’alto e poi precipitato sulla coperta del Moby Prince, davano origine ad un breve ma intenso incendio “da pozza”, di dimensioni coincidenti con quelle della prora e producenti fiamme di elevate altezze (anche superiori alla controplancia del Moby Prince)” (p. 553).
Pertanto, e riassumendo in conclusione, la tesi della Richiesta di archiviazione riprende quanto teorizzato dai Periti del Tribunale nel corso del Processo di primo grado e ribadito in sentenza: a seguito della collisione, una cospicua parte di carico presente nella cisterna n° 7 benché avesse la superficie del pelo libero circa 2 metri sotto il ponte di manovra prodiero della Moby Prince, avrebbe sovrastato da dentro la cisterna tale area riversandosi per un effetto pistone generato dalla velocità dell’ingresso della prua del traghetto nella cisterna.

Le modalità di propagazione dell’incendio

Riportiamo la citazione della Richiesta di archiviazione, in relazione alla propagazione dell’incendio:
“l’apertura della porta stagna prodiera e l’impianto di ventilazione in funzione agevolano decisamente l’ingresso di greggio e vapori nei garage e nei locali interni del Moby Prince, cominciando a divampare il fuoco su tutta la parte prodiera del traghetto coinvolgendo il personale di plancia e progressivamente le restanti parti e locali della nave; Una causa della tragedia – anche se è doloroso affermarlo – è dunque individuabile in una condotta gravemente colposa, in termini di imprudenza e negligenza, della plancia del Moby Prince.” (p.140)
Le conclusioni riportano che “l’apertura della porta stagna prodiera e l’impianto di ventilazione in funzione avrebbero agevolato decisamente l’ingresso di greggio e vapori nei garage e nei locali interni del Moby Prince”, asserendo quindi che la propagazione è stata repentina e non ha lasciato scampo, provocando la morte dell’equipaggio e dei passeggeri in un tempo massimo di 30 minuti (smentendo così la relazione tecnica svolta sulle modalità di propagazione dell’incendio sul traghetto Moby Prince nel 1993 dal RINA).
L’immagine è tratta da un video girato dai Vigili del Fuoco di Livorno nel corso del primo sopralluogo all’interno del traghetto Moby Prince e riteniamo racconti una drammatica storia.

Evidenziate in rosso le impronte trovate durante il primo accesso dei Vigili del Fuoco sul relitto della nave
Su alcune autovetture del garage furono rinvenute delle impronte di mani lasciate sulla fuliggine.

Evidenziate in rosso le impronte lasciate dalle mani di chi, dopo l’incendio, vagò nei garage in cerca di salvezza
La questione fu affrontata nel corso del dibattimento, ma non per il tramite del video di cui sopra.
Ciò che il Tribunale di Livorno affrontò fu unicamente una serie di immagini fotografiche, tra le quali la seguente, dove le manate erano evidenti ma fu ritenuto più probabile che esse fossero state prodotte durante le operazioni di ispezione e dunque da riferire ad un tempo indeterminato (di mesi) dopo la collisione.
Grazie al reperimento del filmato originale girato a bordo durante il primo accesso da parte dei Vigili del Fuoco, oggi si può affermare che le impronte erano lì prima del successivo sopralluogo dei consulenti della Procura nel corso del quale furono scattate le fotografie.
Due elementi meritano di essere sottolineati a riguardo:
le “manate” testimonierebbero un passaggio di persone in una zona del traghetto tornato in condizioni minime di vivibilità, dove non furono rinvenute vittime, e chiunque le abbia lasciate è stato in quel locale dopo che le autovetture furono coperte di fuliggine (o nerofumo) per poi avere la forza di lasciare il garage;
il locale garage, nelle ricostruzioni ufficiali, è stato interessato dall’incendio sin dall’avvio dello stesso, pertanto le “manate” possono essere state lasciate solo a seguito del suo spegnimento in tale spazio, quindi al ritorno in esso di condizioni di vivibilità tali da giustificare il passaggio esplorativo e la successiva uscita da parte di queste persone.

La nave Theresa

Theresa, svelato il vero nome della nave?
Quando si parla della vicenda del Moby Prince, chiunque si sia documentato in merito vi riferirà di una nave che trasmise, circa 25 minuti dopo la collisione, un messaggio via radio con questo contenuto: “This is Theresa, this is Theresa for the ship one in Livorno anchorage, I’m moving out, I’m moving out!” (“Theresa chiama la nave uno all’ancora nella rada di Livorno, mi allontano, mi allontano!”). Uno dei misteri che avvolgono la notte del 10 Aprile 1991 riguarda proprio Theresa, nome in codice utilizzato per coprire il vero identificativo di una delle navi ancorate quella notte nel porto di Livorno. Nessuna imbarcazione di nome Theresa, infatti, si trovò all’ancora o in transito in quella notte nella rada, ma qualcuno usò questo nominativo per comunicare il proprio spostamento alla “nave uno”, altro nome in codice.
Dopo essere venuti in possesso delle registrazioni integrali riversate dalle bobine di Livorno Radio PT, ci è stato possibile proseguire nell’ascolto delle comunicazioni avvenute sul canale 16 quella notte, arrivando a smascherare la vera identità di Theresa.
Di seguito la registrazione:

This in Theresa, this is Theresa for the ship one in Livorno anchorage… I’m moving out, I’m moving out” (ore 22.49.06)
Procedendo con l’ascolto delle registrazioni arriviamo alle ore 23.15.33: sul canale 16 gli ormeggiatori stanno effettuando delle comunicazioni relative ai soccorsi. Tra questi passaggi udiamo una conversazione di una nave straniera:
Di seguito la registrazione:

(S) Tank boat, I am Gallant2, please keep clear of me, I’m moving out!” (“Petroliera, stammi lontana, sono il Gallant2, mi allontano”)
La persona all’apparato radio del Gallant2 utilizza una locuzione ascoltata nella precedente comunicazione di Theresa: “I’m moving out” (“Mi allontano“).
Di seguito parte delle due comunicazioni raffrontate. La prima parte è relativa alla comunicazione delle 23.15 (Gallant2), la seconda a quella delle 22.49 (Theresa)

Filtrando solo la frase incriminata otteniamo il file che segue:

I’m moving out”(23.15.33)-“I’m moving out I’m moving out”(22.49.06)

L’analisi grafica del passaggio “I’m moving out” evidenzia, in tutti e due i casi, la presenza di un segnale vocale tra i 300 ed i 1500 Hertz, confermandoci che la voce che ha comunicato è la stessa. E’ quindi decisamente plausibile che a parlare, in entrambi i passaggi, è il capitano del Gallant2/Theresa: il comandante greco Theodossiou. Un discorso analogo di comparazione possiamo farlo per il termine “This is” presente sia nella chiamata di Theresa che in un’altra di poco successiva: alle ore 22.50.04 (58 secondi dopo la chiamata per “nave uno”) il Gallant 2 cerca di contattare una nave americana. Anche in questo caso non nomina l’imbarcazione ma si limita a chiamare “american cargo vessel” (nave cargo americana). L’apparato radio è probabilmente diverso da quello usato poco prima in quanto il tono di voce è leggermente meno amplificato e più grave:

American cargo vessel, this is Gallant 2″(22.50.04)

Filtrando solo la frase “This is”:

Anche in questo caso notiamo che la frase è pronunciata nella stessa identica maniera. Da questa registrazione riusciamo inoltre a dedurre anche un altro importantissimo fatto: “nave uno/american cargo vessel” questa volta risponde!

Dal momento che abbiamo appena supposto che Theresa sia il Gallant2, che dopo 58 secondi dalla chiamata a “Ship One” chiama “American cargo vessel” (questa volta identificandosi con il proprio nome), la famosa “Ship one” questa volta risponde! Passo successivo sarà cercare di scoprire quale potrebbe essere l’altra imbarcazione. Theresa/Gallant2 comunica nuovamente ciò che aveva detto poco prima identificandosi con un nome falso: “I’m moving, take care of me, ok” (me ne vado). Anche il messaggio, se ci facciamo caso, è lo stesso!
Restano quindi pochissimi dubbi sull’identità della fantomatica nave Theresa.
Theresa altri non era che il Gallant2, una delle navi militarizzate che quella notte erano impegnate nel trasporto di armi presso la base di Camp Darby.
Resta da capire il motivo per cui il comandante abbia ritenuto di non utilizzare via radio il proprio identificativo ma un nome di fantasia, come resta da chiarire come mai i periti del tribunale non si siano mai preoccupati di analizzare a fondo le registrazioni per chiarire chi fosse Theresa, nonostante abbiano parlato a lungo del fatto nell’analisi tecnica allegata alla sentenza del 31/10/1998 (più di otto pagine sono dedicate al tentativo di riconoscere Theresa nella nave Andros Antares).

Le comunicazioni sulla 2182 kHz

Stiamo aspettando qui… Nessuno ci sente!
Fino ad ora ci siamo occupati di analizzare le comunicazioni del canale 16 VHF, ove avvenne la maggior parte del traffico di emergenza nella notte del 10 Aprile 1991. Tutte le imbarcazioni di grande stazza dispongono anche di trasmettitori in onde medio-corte, in grado di raggiungere distanze maggiori rispetto agli apparati in VHF e sempre in grado di contattare le Capitanerie di Porto e le stazioni Costiere del Ministero delle Comunicazioni per l’invio di telegrammi o per effettuare traffico telefonico (prassi ad oggi molto rara a causa dell’avvento del sistema IMMARSAT). La frequenza di emergenza per le onde medio corte è la 2182 kHz. Fino ad oggi nessuno si era preoccupato di andare a riascoltare le comunicazioni del canale in onde corte o meglio, la versione ufficiale fornita dagli inquirenti è stata “non vi è stata nessuna comunicazione di emergenza la notte della tragedia sul canale ad onde medio-corte”. Lo studio tecnico Bardazza, incaricato dai figli del comandante del Moby Ugo Chessa di approfondire gli aspetti tecnici della tragedia, è riuscito, dopo numerose richieste, ad ottenere una copia dell’audio registrato sulla pista relativa alla frequenza 2182 kHz in quella notte. Sono le ore 22,56 circa: sono passati 31 minuti dal terribile scontro tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo. E’ proprio sulla 2182 kHz che viene registrata una voce…

Frase 1: “Stiamo aspettando qui purtroppo… Stiamo aspettando ancora qui. Noi siamo ancora sotto, noi siamo ancora sotto ma qui non ci sente nessuno!
Frase 2: “Dicevo che stiamo aspettando giù, stiamo aspettando giù e stiamo aspettando giù e tutti siamo qua, ora!
Frase 3: “(..) che stiamo aspettà! E siamo ancora tutti qua, aspettando giù, aspettando giù e dicevo.. Stiamo aspettando un po’!
Frase 4: “Riuscite a sentirmi almeno un po’? E stiamo aspettando giù e stiamo aspettando giù e c’è qualcuno che può sentire qualcosa?
La comunicazione non è chiara ma pare che si sentano le frasi sopra citate, questa comunicazione può quindi appartenere al Moby Prince?
Per capire se la paternità della trasmissione possa essere attribuita al traghetto, è necessario analizzare la dislocazione degli apparati radio all’interno della nave. Il trasmettitore ad onde corte, frequenze dove è stata registrata questa chiamata, era posizionato all’interno della saletta RT, ubicata a circa venti metri dalla plancia di comando. Come sappiamo la plancia è stata la prima zona della nave ad essere investita dalle fiamme, e poco dopo le stesse si sono propagate alla sala radio. Risulta inoltre importante sottolineare che gli apparati radio sono stati trovati divelti dalla paratia in seguito all’urto e che non sono previsti apparati portatili per la frequenza 2182 kHz sulle imbarcazioni. Nel caso in cui qualcuno avesse voluto trasmettere sulla radio ad onde medio corte, si sarebbe dunque dovuto recare nel locale radio e qui, una volta acceso l’apparato (sempre che i collegamenti dell’alimentazione e dell’antenna siano rimasti integri), avrebbe potuto lanciare la richiesta di soccorso. La comunicazione ascoltata, tuttavia, non è un vero e proprio mayday, ma quasi una disperata implorazione… “stiamo aspettando qui”… “non ci sente nessuno”.
Non poteva quindi trattarsi del radiotelegrafista di bordo che avrebbe ripetuto, se avesse potuto farlo, una chiamata da protocollo (così come il Mayday delle 22.25.29). E’ possibile, a parer nostro, che il marconista Giovanni Battista Campus al momento dello scontro abbia acceso, prima di recarsi in plancia per ricevere istruzioni dal comandante, l’apparato in onde corte (sappiamo che quella radio richiede un tempo di riscaldamento di circa trenta secondi prima di poter operare) e che un passeggero o altro membro dell’equipaggio, sicuramente non avvezzo all’uso di un apparato radio, abbia trovato la sala ed abbia espresso, a modo suo ed in un estremo tentativo di farsi sentire, lo stato d’animo di quel momento. Resta da chiarire se il percorso delle fiamme abbia effettivamente permesso a qualcuno, magari dal vicino salone Deluxe, di avventurarsi fino agli apparati dopo 31 minuti dalla collisione per trasmettere quella comunicazione. La concitazione delle parole, la voce non chiara (come se la bocca fosse coperta) e l’assenza di altre navi in condizioni di emergenza in porto (al di fuori dell’Agip Abruzzo dove si alternavano il comandante Superina e l’ufficiale RT Recanatini all’apparato VHF), fanno pensare che questa trasmissione non possa non provenire dagli apparati radio del Moby Prince.
Qualcuno molto probabilmente era ancora vivo alle 22.56 del 10 aprile 1991, dopo ben 31 minuti dallo scontro. Era inoltre cosciente ed in grado di parlare, così come è rimasto cosciente fino alla mattina del giorno successivo il cameriere Antonio Rodi, che ha raggiunto il ponte di poppa della nave verso le ore 7.00 dell’11 aprile, e qui è morto bruciato dal calore dopo aver perso i sensi (vedi sezione “La prova”). Queste sono le prove evidenti che, se i soccorsi si fossero diretti da subito sul Moby, molte vite potevano essere salvate.

Alla radio quella notte…

Nell’analisi dei fatti accaduti nella notte del 10 aprile 1991, hanno un’importanza fondamentale le comunicazioni radio. Un progetto sperimentale avviato nel 1991 dall’allora amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni ci ha permesso, ad oggi, di disporre delle tracce audio originali registrate via radio nella notte della tragedia. Era infatti stato installato, pochi mesi prima del fatto, un sistema di registrazione su bobina che teneva traccia delle comunicazioni su diverse frequenze, di soccorso e non, tra cui ovviamente il canale 16 VHF deputato alla chiamata e soccorso per le imbarcazioni di qualsiasi tipo.
Nel corso degli anni si è detto che la stazione radio del Moby Prince non funzionava a dovere, adducendo a problemi di scarsa manutenzione la copertura del mayday lanciato dal traghetto alle ore 22.25 da parte di stazioni controcosta francesi.
I periti che negli anni hanno analizzato le comunicazioni radio di quella notte (Ceccantini, Della Mese e Pellero) si sono limitati, come per la questione relativa nave Theresa, all’ascolto dei momenti immediatamente antecedenti e successivi al disastro. Un ascolto più attento delle registrazioni radio (estendendo la ricerca di informazioni preziose incise sulla bobina a diverse ore prima e dopo la tragedia) ci permette di rivedere la teoria del malfunzionamento degli apparati radio del Moby Prince. I problemi, dati alla mano, andavano ricercati sulla nave o nel sistema ricevente di Livorno Radio e della Capitaneria di Porto di Livorno?
Analizzando le perizie tecniche, possiamo ricostruire il funzionamento del sistema ricevente della stazione di ascolto di Livorno Radio PP.TT., deputata alla ricezione delle chiamate per traffico commerciale e di chiamate di soccorso (la Capitaneria di Porto non era deputata all’ascolto H24 del canale di emergenza).
Di seguito uno stralcio della perizia del consulente Della Mese, anno 1992 (cliccare per ingrandire).

Di seguito lo schema della configurazione delle stazioni riceventi, sempre tratto dalla perizia Della Mese del 1992:

Si può notare come il segnale ascoltato dagli operatori della stazione proveniente dal canale 16 VHF era, in realtà, la somma di due segnali provenienti dalle due stazioni riceventi di Gorgona Isola e Castellaccio, miscelati ed inviati in altoparlante.
Il segnale proveniente dalle onde medio corte, invece, veniva ricevuto da un’unica antenna installata sulla stazione PP.TT. in località Antignano.
Verificando la dislocazione dei sistemi di antenna riceventi, è evidente che l’impianto sito in località Castellaccio era deputato alla ricezione dei segnali della rada/sottocosta, mentre la stazione di Gorgona Isola era in grado di ricevere comunicazioni più a lungo raggio, provenienti dal mare aperto.
Di seguito un’immagine della stazione ricevente situata nella postazione del vecchio semaforo, sull’isola di Gorgona

Il sistema di antenne utilizzato, che impiegava aerei direttivi disposti a 120° l’uno dall’altro, se non opportunamente tarato poteva creare situazioni di ascolto anomalo, permettendo la ricezione di segnali provenienti anche da molto lontano.
Un esempio è dato dalla ricezione chiarissima, nella sera della tragedia, delle comunicazioni provenienti dalle isole di Porquerolles e Levant, distanti quasi 200 miglia dall’Isola di Gorgona.
Riportiamo di seguito un esempio di comunicazione impresso sul nastro di Livorno Radio (IPL).
Sono le ore 22.22.20, la trasmissione iniziale è quella del Moby Prince, da poco salpato alla volta di Olbia. Il traghetto è in rada e la sua chiamata a Livorno Radio copre una comunicazione francese, che è facilmente ascoltabile subito dopo la chiamata del traghetto

Dopo pochi minuti sono ancora le comunicazioni francesi a rimanere ben impresse nel nastro di IPL (ore 22.24, manca un minuto alla collisione)

Ore 23.25.27, il Moby Prince lancia il disperato mayday, richiesta internazionale di soccorso che può essere inviato solo su ordine del comandante in caso di pericolo immediato per la vita delle persone a bordo di una nave o di un aereo

Mayday, Mayday, Mayday, Moby Prince, Moby Prince.. Mayday, Mayday, Mayday, Moby Prince! Siamo in collisione, c’è bisogno di (..) prendiamo fuoco.. Siamo in collisione, prendiamo fuoco! Mayday, Mayday, Mayday (..)
La comunicazione viene coperta per buona parte dall’operatore del semaforo dell’Isola di Porquerolles, è comunque facilmente distinguibile il termine “Mayday”.
E’ necessario, a questo punto, analizzare i fatti basandosi sulle trasmissioni ricevute dalla stazione costiera, ponendosi una domanda: La radio del Moby Prince da cui è partito il mayday era guasta o gli apparati di Livorno Radio non ricevevano a dovere?
Per rispondere al quesito è necessario ascoltare qualche altro passaggio delle comunicazioni avvenute quella notte sul canale 16.

[Parte del testo in revisione]